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“Cos’è che volevi chiedermi?”
Jeff guardò Bil,, seduto sul suo letto, che si tormentava le mani. A scuola gli aveva detto che c’era un favore che gli voleva chiedere, ma non era riuscito a estorcergli altro. E ora sembrava quasi imbarazzato.
“Ecco… vedi… era che… insomma…”
“Non ti mangio mica, dai!”
“Mi… mi insegneresti a suonare? La chitarra dico…”
D’accordo, già faceva qualcosa con il pianoforte scordato di casa, ma non poteva suonare quello che voleva, e se ci provava, le conseguenze erano sempre disastrose, in ogni senso. Aveva sempre ammirato e invidiato la velocità delle dita di Jeff quando si muovevano sul manico, quella apparente facilità con cui suonava i Rolling Stones.
Avrebbe voluto provare, ma ci aveva messo mesi a trovare il coraggio di chiederglielo. Detestava far vedere di non essere all’altezza di qualcosa, e poi forse gli avrebbe dato fastidio…
Invece Jeff sorrise leggermente e lo guardò negli occhi.
“Certo, che problema c’è? Se ci tieni…”
Si alzò dalla sedia, prese la sua acustica e la passò a Bill, che da parte sua la teneva come se avesse paura di romperla.
“Guarda che è anche scarsino, come modello… non darci troppa attenzione. Allora, partiamo con l’abc… le vedi le corde no?”
“Beh, sì…”
“Ogni corda suonata a vuoto, cioè senza premere sul manico, è una nota. Le conti dal basso da uno a sei, e sono mi, si, sol, re, la, e ancora mi. Fino qui tutto ok?”
“Non mi sembra troppo complicato…”
“Meglio. Ora, presente toni e semitoni?”
“Se mi rinfrescassi la memoria…”
“Allora, tra ogni nota c’è un tono, e se escludi mi e fa e si e do, tra tutte le altre c’è una nota intermedia ovvero un semitono. Si indicano con… aspetta, dammi un foglio…”
Ne prese uno e gli scrisse sopra una scaletta più o meno esauriente con tanto di diesis e bemolle.
“Quindi… dammela un secondo… allora, su ogni corda c’è una scala.”
Poi mise una mano sulla corda di sol, sul fondo della tastiera.
“Se io parto da qui, questa suonata a vuoto è sol, se premo il primo tasto è sol diesis, quello dopo è la e così via per tutte le corde. Poi chiaramente hai gli accordi e la cosa diventa più complicata, ma col tempo ci arrivi. Riprendila un attimo che vedo se possiamo farne un paio…”
Bill annuì senza parlare e riprese lo strumento, mentre Jeff gli passava un plettro.
“Intanto vediamo la sinistra. Metti la mano lì. No, il polso più sotto… perfetto. Allora, che ti faccio provare… vediamo con il mi minore. Vedi la corda del la?”
“Sì...”
“Metti il medio sul secondo tasto e l’anulare sempre sul secondo ma della corda sotto. Perfetto. Vai.”
“Vado?”
“Sì, suona.”
Bill spinse sui tasti passando il plettro sulle corde, ma ottenne due soli risultati; il primo di sentire un dolore tremendo alle dita, il secondo di tirare fuori solo un sono strozzato. Sembrava quasi che se ne vergognasse… ma Jeff si limitò a farsi scappare una risata.
“Calma, è normalissimo. Devi solo spingere di più.”
“Ma fa malissimo!”
“Eh, non hai i calli, per forza… aspetta eh…”
Senza neanche pensarci su, appoggiò indice e medio della sua mano sulle dita di Bill spingendole sulle corde quanto bastava per farle suonare, e ignorò l’espressione sofferente sul volto dell’altro.
“Prova ora.”
Suonò di nuovo, e quella volta, l’accordo uscì alla perfezione.
“Visto? Non è troppo difficile, no?”
“Vero…”
“Proviamo con il maggiore… aspetta, metti il polso più giù…”
Non sapeva perché lo stesse facendo lui, invece che lasciare che provasse da solo. Ma con la mano che non stava pressando le altre dita, portò l’indice della sinistra di Bill sul primo tasto della corda di sol, facendo pressione anche su quello.
“Perfetto così. Vai pure.”
Con un minimo di sicurezza in più, abbassò di nuovo il plettro. E ne uscì un mi maggiore senza una sbavatura.
“Questo è molto più… allegro… dell’altro… ma che cazzate dico??”
“Naturale. Perché il minore si chiama minore secondo te?”
“Stiamo degenerando…”
“Sei tu che hai chiesto in primo luogo. Vai da solo…”
Gli lasciò le dita, quasi a malincuore, anche se non si spiegava perché. E stavolta gli uscirono entrambi gli accordi, anche se non bene quanto prima. Jeff rimase quasi in trance, a vederlo. Con quella smorfia concentrata, chinato a guardare sulla tastiera dello strumento, a provare quei due accordi in continuazione, e i capelli sciolti in una cascata rossa sulle spalle… sì, era adorabile, davvero. E poi ebbe un’idea. Non voleva correre troppo, ma sapeva che gli avrebbe fatto piacere. Si andò a sedere vicino a lui prendendo un altro foglio e scrivendo un paio di appunti. Poi lo fermò.
“Avrei una cosa da farti fare. Devi impararti quattro accordi, vero, ma per me ci riesci.”
“E che mi dovrei imparare?”
“Sol, re, do e la minore. Non è troppo difficile.”
“Se lo dici tu…”
“Ma sì. Allora, con il sol… fai fare a me.”
Neanche stavolta sapeva perchéci tenesse così tanto a farlo. Ma si sentiva stranamente contento. Forse perché stava facendo qualcosa che… che rendeva felice Bill?
Andò a mettersi dietro di lui, gli coprì la sinistra con la sua, e gli posizionò tutte e quattro le dita sul manico, aprendogli la mano quanto bastava e facendogli suonare il sol per quattro, cinque volta.
“Ci sei?”
“Va bene.”
Le dita cominciavano davveroa fargli male, ma risolse di tacere e continuare. Era lui che aveva chiesto, alla fine, quindi ci mancava solo che si lamentasse. Jeff ci mise mezz’ora a replicare l’azione con gli altri tre accordi, ma quando fu sicuro che li ricordava, gli lasciò le mani.
“Perfetto. Ora vai con sol, re, la minore, sol e do. E vedi cosa ne esce fuori.”
Bill non sembrava troppo convinto della cosa, ma dopo aver fatto un riepilogo mentale, spinse le dita sui tasti suonando gli accordi nell’ordine che gli aveva detto Jeff.
E quando si rese conto di cosastava suonando, si fermò di colpo.
“Ma potevi dirmelo!”
“Volevo vedere la tua faccia.”
“Isbell, razza di… certo che pensi sempre a tutto eh?”
“Certo. Per chi mi prendi?”
Bill scosse la testa e ricominciò il giro canticchiando a bassa voce.
“Mama take this badge off me… I can’t use it, anymore… it’s gettin’ dark, too dark to see… feels like I’m knockin’ on heaven’s door... knock, knock, knockin’ on heaven’s door...”
Poi però si fermò guardandosi le dita. Un paio di polpastrelli si erano già spellati, e gli altri erano rossi.
Cazzo, se gli facevano male.
E Jeff, che era ancora seduto lì accanto, gli prese il polso tra le sue.
Si guardarono negli occhi un paio di secondi, e poi, sempre senza pensarci troppo su, Jeff alzò la mano di Bill e se ne portò la cima vicino alle labbra, per poi posare un bacio leggerissimo sulla cima di ogni dito. E con sua enorme sorpresa, l’altro non la ritrasse. Anzi, restò a guardarlo con gli occhi che erano insicuri, ma che quasi, contemporaneamente, lo incoraggiavano.
Allora, facendosi un poco più audace, aprì un poco la mano, e baciò prima il palmo, e poi il dorso. Dopo la lasciò andare, portò le mani sul viso di Bill e lo baciò piano sulla bocca, lasciandogli tempo e spazio per rifiutare.
Ma non lo fece.
E due labbra morbide e dolci si aprirono sotto le sue, lasciandogli accesso, e non gli fu difficile ammettere che baciare Bill era esattamente come aveva sempre sognato.
La perfezione. Senza troppi giri di parole.
Quando scostò la testa per guardarlo in faccia, vide che gli occhi gli brillavano. Beh, non se l’aspettava una reazione del genere…
“Jeff…? Perché?”
“Non… no, non è vero che non lo so. Diciamo che non saprei dirtene i motivi nello specifico perché lo devo ancora capire ma… penso… proprio… che tu mi piaccia, molto, e… beh, se ti mette a disagio non…”
Quella frase non la finì mai. La chitarra finì appoggiata sul letto, Bill si alzò dal bordo del materasso sedendosi sulle sue ginocchia, e lo baciò ancora. Tenendo il controllo solo per pochi secondi, perché subito dopo lo lascio di nuovo a Jeff, e anche volentieri. Quando si staccarono, sorridevano entrambi.
“Isbell?”
“Sì?”
“Mi piacciono i tuoi metodi.”
“Davvero?”
“Eh sì. Anzi, talmente tanto che avrei un favore da chiederti.”
“Tutto quello che vuoi.”